L’inquinamento da plastica è una sfida globale

L’inquinamento da plastica è una sfida globale

“Ogni essere umano ingerisce in media cinque grammi di plastica alla settimana”. Questo dato, pubblicato di recente in uno studio americano, ha fatto il giro del mondo. Sapevamo già che i mari e gli oceani erano pieni di rifiuti di plastica più o meno in via di decomposizione, ma ignoravamo che la plastica potesse essere assorbita dal corpo umano. Da allora è aumentata la consapevolezza mondiale riguardo all’urgenza di questo pericolo.

Gli attori di qualsiasi tipo, tra cui le autorità pubbliche, i produttori industriali e i consumatori, le istituzioni finanziarie e le ONG ambientaliste, stanno cercando di affrontare una situazione che appare sempre più fuori controllo. Era ora.

Plastica-dipendenti

La plastica fece la sua comparsa all’inizio del secolo con la bakelite (1907) e il cellophan, ed ebbe in pochissimo tempo un enorme successo, divenuto incontenibile dagli anni Cinquanta in poi. I soldati americani sbarcati in Francia durante la seconda guerra mondiale furono i primi a far conoscere alle donne francesi le calze di nylon inventate nel 1937. I contenitori Tupperware, lanciati nel 1946, sono stati per molti anni l’emblema del successo della plastica nei Paesi sviluppati fino a quando i primi ecologisti non hanno iniziato a denunciare un materiale che era stato a lungo il simbolo della modernità. La plastica ha numerose qualità; è leggera, igienica, impermeabile, malleabile, solida, durevole, economica e versatile e per molto tempo ha accompagnato la crescita economica dei Paesi. La plastica si trova ovunque, nelle nostre cucine, nei nostri bagni, negli indumenti e negli elettrodomestici. Una giornalista americana ha calcolato di recente che ogni giorno entriamo in contatto con 200 oggetti di plastica, più che tutti gli altri materiali messi insieme.

Come eliminare i rifiuti di plastica?

Le qualità di questo materiale sono però anche la sua condanna perché la plastica non si putrefà e non si degrada facilmente. L’aumento delle preoccupazioni ambientaliste e l’esplosione della plastica monouso (che ora rappresenta il 40% della produzione mondiale) indotta dalla domanda dei consumatori hanno reso inevitabile la questione di come eliminare definitivamente i rifiuti di plastica.

 Fonte: Credit Agricole

Dal 1950 l’umanità ha prodotto quasi dieci miliardi di oggetti di plastica, di cui solo il 12% è stata bruciata e il 9% riciclata. Il resto è finito nell’ambiente. Nel migliore dei casi nelle cosiddette discariche “controllate”, dove i rifiuti vengono spesso seppelliti e più o meno isolati dal terreno, perlomeno nei Paesi sviluppati. In quelli peggiori in discariche illegali, dove si decompongono all’aria aperta, producendo metano, o abbandonato direttamente nell’ambiente dove viene disperso dal vento, dalla pioggia e dall’acqua.

Le attuali pratiche per l’eliminazione dei rifiuti di plastica sono insoddisfacenti da un punto di vista ambientale. L’incenerimento utilizza grandi quantità di energia (principalmente combustibili fossili) e la combustione della plastica produce CO2 e altri inquinanti. Ora sappiamo come trattare i residui dell’incenerimento (ad esempio utilizzandoli come substrati nella costruzione di strade, perlomeno nei Paesi sviluppati), ma continuiamo a bruciare PVC che libera diossina. Una simile situazione è però ben lungi dall’essere la norma nei Paesi emergenti e intermedi, dove l’incenerimento non è soggetto a controlli ed emette nell’atmosfera inquinanti altamente tossici come la diossina e il benzene nelle aree urbane e dove le discariche non offrono alcuna garanzia assoluta di rispetto dell’ambiente. La decomposizione della plastica in microparticelle, unitamente all’emissione di acidi (da parte ad esempio delle pile non riciclate), libera sostanze estremamente tossiche che danneggiano il nostro sistema endocrino e potrebbero essere una delle cause dei tumori.

In un recente, importante rapporto, il WWF ha stimato che il 37% dei rifiuti di plastica mondiali sono attualmente non gestiti in maniera ecologica. Invece di essere raccolti, vengono gettati nell’ambiente o accumulati in discariche non controllate. Questa situazione è fonte di grande preoccupazione perché l’80% di questi rifiuti andranno a inquinare gli ecosistemi e gli oceani in particolare. Il WWF stima che l’80% dell’inquinamento marittimo derivi da fonti terrestri.

Allerta oceani

Gli oceani stanno diventando la discarica del mondo, come testimoniano le immagini strazianti degli animali marini soffocati dalla plastica e dai dati vertiginosi sull’inquinamento diffusi ampiamente dalla stampa e dai social network. Una rivelazione sensazionale è giunta nel 1997 con la scoperta dei gyre, potenti correnti oceaniche in cui si accumula la plastica in via decomposizione fino a formare dei veri e propri “continenti di plastica”. Il più grande, situato nell’Atlantico del nord, è grande sei volte la Francia.

Il grido di allarme lanciato nel 2015 al World Economic Forum di Davos da Ellen McArthur, in cui annunciò che gli oceani, di lì a 20 anni, avrebbero contenuto più plastica che pesci se non fossero state prese delle misure correttive, ha provocato una vera e propria presa di coscienza, ma è difficile quantificare la portata dell’inquinamento perché ora sappiamo che la plastica erosa dal sale e dal sole si degrada in micro e nano-plastiche invisibili a occhio nudo. E forse è proprio questo il tema più allarmante. Queste particelle sono assorbite dal plancton, dai crostacei, dai molluschi e dai pesci. La plastica si trova quindi all’origine della catena alimentare e finisce col contaminare l’alimentazione umana.

Fonte: Crédit Agricole

Plastica: le particelle negli alimenti

Le ricerche hanno iniziato a dimostrare che l’uomo ingerisce e respira a sua insaputa una grande quantità di nanoparticelle di plastica. Un adulto americano ingerisce e respira oltre 50.000 particelle l’anno. La prima fonte è l’acqua, l’acqua in bottiglia in particolare, che contiene nanoparticelle di plastica in misura venti volte superiore a quelle presenti nell’acqua del rubinetto. Tra le altre fonti principali troviamo i frutti di mare, la birra e il sale, nonché le microplastiche presenti nell’aria a seguito dell’abrasione dei pneumatici.
Si tratta di un vero e proprio segnale d’allarme per l’opinione pubblica e i governi, tanto più che i primi studi iniziano a rivelare che queste particelle potrebbero essere in grado di penetrare nei tessuti e nelle cellule umane, contrariamente a quanto si è pensato per molto tempo. Si è appena iniziato a studiare questo rischio, ma i risultati iniziali non promettono niente di buono. Le microparticelle di plastica che sono onnipresenti nei nostri vestiti e nei cosmetici vengono disperse a ogni lavaggio e finiscono nelle acque reflue, dove sono praticamente impossibili da trattare, con conseguenze ancora ampiamente sconosciute.

Una minaccia invisibile

La situazione è allarmante e rappresenta una minaccia per l’umanità intera, con degli effetti a lungo termine sul metabolismo, sui tumori e sulle malformazioni che sono difficili da quantificare. Ma quel che è peggio è che la plastica in tutte le sue forme, da quelle più grandi a quelle più piccole, è un ottimo vettore di trasporto per i batteri, nel nostro corpo come negli oceani. La minaccia alla biodiversità e agli ecosistemi acquatici è reale. Non solo le specie invasive si diffondono più facilmente da un continente all’altro grazie alla plastica, ma quest’ultima fissa anche dei micro-organismi patogeni che sono pericolosi per l’uomo e per la fauna. Il rischio è quindi molto reale, con conseguenze ambientali, sanitarie ed economiche, per esempio sull’acquacultura, che abbiamo appena iniziato a studiare.

Di chi è la colpa?

Le allerte sull’inquinamento degli oceani hanno avuto il merito di risvegliare le coscienze. Anche se sono sorte idee di certo un po’ utopiche che auspicano la raccolta delle masse di plastica presenti negli oceani, il problema si situa alla fonte, nell’intero ciclo di produzione, utilizzo ed eliminazione della plastica.

È in gioco l’intera catena delle responsabilità. Ogni anello di questa catena è uso scaricare la colpa sull’anello successivo. I chimici e i produttori di plastica addossano la responsabilità ai loro clienti, grandi aziende del settore alimentare e igienico-cosmetico, che a loro volta puntano il dito contro il comportamento e le abitudini irresponsabili dei consumatori, che a loro volta si lamentano dell’inefficienza dei sistemi di raccolta delle comunità locali. Resta il fatto che meno del 10% delle bottigliette di plastica utilizzate a Parigi viene raccolto, differenziato e riciclato, e che la città non dispone ancora di cestini pubblici per la raccolta differenziata. Intanto, in mare, ogni minuto viene scaricato l’equivalente di una nave di immondizia.

Ha inizio la mobilitazione pubblica

Tuttavia, i governi hanno iniziato a prendere delle contromisure. Uno dei problemi affrontati è il consumo della plastica monouso che è onnipresente, invasivo e difficile da riciclare. La Francia è stato il primo Paese a vietare i sacchetti di plastica non riciclabili di cui ne viene prodotto circa un miliardo l’anno. Il loro consumo si è così ridotto del 90% in quindici anni. La legge francese sulla transizione energetica ha vietato la vendita di piatti e bicchieri di plastica a partire dalla fine dell’anno.

Nel frattempo, l’Unione europea ha preso di recente degli impegni inderogabili, vietando stoviglie, ma anche posate e cotton fioc in plastica da qui al 2021 e la plastica monouso entro il 2030, portando al 90% la raccolta delle bottiglie di plastica e al 30% la quota di rifiuti di plastica riciclati entro il 2025. Ma questa è solo una parte del problema, perché la plastica monouso rappresenta solo il 4% della produzione mondiale di plastica. Cosa si può fare allora con questo materiale onnipresente nelle nostre vite al punto da minacciare la natura, l’uomo e la biodiversità? La situazione è ormai incontrollabile? Esistono delle soluzioni, che richiedono tuttavia il coinvolgimento generale e collettivo di tutti gli attori facenti parte della catena della plastica, a partire dai produttori fino ai consumatori, con una forte volontà politica a livello nazionale e sovranazionale.

“L’intero mondo può essere plastificato e, a quanto pare, anche la vita, visto che si iniziano a produrre delle aorte di plastica.” A oltre sessant’anni dalla pubblicazione di Mitologie (1957), la profezia di Roland Barthes si è avverata. La plastica è presente dappertutto, nelle nostre vite quotidiane, dalle sommità dei ghiacciai alle profondità degli oceani. Nei nostri piatti, nei nostri stomaci e senza dubbio anche nei nostri organi vitali. E uccide, gli animali e, forse, gli esseri umani. Il problema è mondiale perché la plastica viaggia come l’inquinamento e l’anidride carbonica. Le soluzioni esistono e possono essere implementate. Ma ci vorrà parecchio tempo prima di imparare di nuovo a vivere con e senza la plastica.

 

— Emmanuel Bonnard, divisione informazione/comunicazione del Gruppo Crédit Agricole

Salire