La tecnologia a servizio del bene comune

La tecnologia a servizio del bene comune

Le soluzioni uniche e dirompenti offerte dall’innovazione digitale offrono strumenti estremamente preziosi che possono aiutarci a raccogliere le enormi sfide ambientali, sanitarie e sociali del nostro tempo. Il movimento “tech for good” che mira a sfruttare l’incredibile potere delle nuove tecnologie a vantaggio di tutti, si è rafforzato negli ultimi anni. Valutiamo questa importante tendenza, analizzando i principali attori, le sfide e le questioni finanziarie.

La consapevolezza che tutti dovrebbero trarre vantaggio dal progresso è stata profondamente radicata nell’innovazione tecnologica sin dagli albori della rivoluzione digitale. Il legame tra la tecnologia e il bene comune si è evoluto dalla visione adottata dai pionieri della Silicon Valley negli anni ’70 e non si è mai stato spezzato. Nel 2015, le Nazioni Unite hanno affermato, nei loro Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG), che l’innovazione e la tecnologia sono fondamentali per proteggere il pianeta, porre fine alla povertà e promuovere l’uguaglianza di genere. Tre anni dopo, nel 2018, il governo francese ha organizzato un vertice internazionale dal titolo Tech for Good. Più di 70 top manager di tech company a livello globale, tra cui Google, Microsoft, Facebook e Huawei, nonché grandi gruppi non tecnologici come BNP Paribas e start-up tra cui Uber e Doctolib, hanno firmato un protocollo dal titolo Tech For Good per definire l’impegno a combattere i contenuti pieni di odio, contribuire a una giusta ripartizione fiscale e ridurre le emissioni di carbonio.

GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) e le start-up si trovano ad affrontare sfide completamente diverse

L’ampia gamma di iniziative e organizzazioni che vengono annoverate sotto il nome “tech for good” può sbalordire. In effetti, il movimento si divide in due categorie di organizzazioni che affrontano sfide completamente diverse in campo ambientale e sociale. Da un lato ci sono le grandi aziende, guidate da Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft (GAFAM), dall’altro quelle più piccole, incluse le start-up specializzate.

“L’euforia che aveva segnato gli albori del digitale, negli anni 2010 ha lasciato il passo ad una crescente consapevolezza che la tecnologia non operava in un universo virtuale ma nel mondo reale e che aveva importanti conseguenze negative”, afferma Sylvain Lambert, Partner and co-head of the sustainability team in PwC France. L’hardware per i computer, ad esempio, assorbe tantissima energia e terre rare e le condizioni di produzione devono essere monitorate attentamente. Negli ultimi anni, la questione relativa alle emissioni dell’industria digitale ha assunto un’importanza crescente, mentre alcune ricerche suggeriscono che il settore potrebbe diventare uno dei maggiori agenti inquinanti del mondo. Entro il 2040, la sola archiviazione dei dati digitali dovrebbe produrre il 14% delle emissioni totali del pianeta 1.

Si è verificato un cambiamento quando i principali operatori del settore hanno capito che avrebbero potuto trarre vantaggio dal far parte dell’iniziativa tech for good. Lambert ricorda: “Nel 2018 siamo stati tutti colpiti da una nota di Apple nella quella, con una mossa impensabile, la Sustainability Director Lisa Jackson elogiava i benefici di una durata più lunga dei dispositivi “. In un’ottica simile, il capo di Google Sundar Pichai ha annunciato nel 2020 che il suo gruppo sarebbe stato il primo ad essere completamente neutrale al carbonio e ad operare senza emettere CO2 entro la fine del decennio. Nello stesso anno, Microsoft ha presentato piani per raggiungere un’impronta di carbonio negativa prima del 2030.

Gli operatori del settore tecnologico la cui attività principale è diretta a promuovere il bene comune, tuttavia, lottano per sfide diverse. Dalle soluzioni greentech a favore del clima, a quelle handitech che promuovono l’accesso al mercato del lavoro o alla mobilità inclusiva, a quelle civictech che si propongono di rafforzare il coinvolgimento dei cittadini nel processo democratico, la pletora di nomi indica l’ampia varietà di iniziative. Sylvain Lambert cita l’esempio di soluzioni volte a ottimizzare il consumo di acqua per migliorare la gestione del territorio. ”La tecnologia può offrire agli agricoltori una stima precisa non solo del tempo atmosferico, ma anche di quanta acqua devono pompare. Ciò genera benefici economici per le aziende coinvolte e per la società nel suo insieme, attenuando il rischio di scarsità d’acqua “. Il progetto OpenStreetMap2, invece, è un esempio di iniziativa sociale. Il principio è che gli individui forniscano contributi per mappare diverse aree del mondo al fine, ad esempio, di indicare l’accesso per le persone a mobilità ridotta o di facilitare i movimenti a seguito di una catastrofe naturale come uno tsunami o un terremoto. Tuttavia, l’area più promettente è probabilmente la tecnologia sanitaria. Il settore è stato alimentato da progressi decisivi negli ultimi anni, guidati dagli sviluppi dell’intelligenza artificiale, dall’accesso a enormi quantità di dati sanitari e dall’aumento di modelli predittivi. Solo in Francia, nel 2020 il settore ha registrato oltre 2.000 imprese, generando entrate per 800 milioni di euro. E il potenziale di crescita è enorme, e il governo ritiene che questa cifra potrebbe raggiungere i 40 miliardi di euro in meno di un decennio3.

La relazione cruciale tra industria e start-up

Ma le aziende che forniscono tecnologie per il bene comune hanno quello che serve per non deludere le (alte) aspettative? Come per ogni innovazione, uno dei fattori chiave sarà la capacità di gestire le risorse necessarie per crescere e sviluppare i prodotti su scala industriale. “La COP 26 ha chiarito in modo chiaro che, per affrontare le sfide che ci attendono, il bilancio pubblico non sarà sufficiente”, sottolinea Lambert. “Per innovare, nella medicina, nella scienza, nel cibo o nella tecnologia, bisogna anche trovare nuove soluzioni di investimento.”

Una soluzione che sta realmente decollando è la partecipazione finanziaria. L’idea è che un gruppo di grandi dimensioni possa esternalizzare una parte della sua innovazione, lavorando con strutture piccole, agili e innovative invece di gestire un centro di R&S. Immaginate che un gruppo di gestione di asset immobiliari debba misurare il comportamento termico dei suoi asset in tempo reale in modo da poter contenere il consumo di energia e ridurre l’impronta di carbonio. “Il gruppo potrebbe assumere specialisti e sviluppare le tecnologie necessarie nel tempo, ma sarebbe più semplice identificare tre start-up che hanno lanciato sistemi di tracciamento efficaci“, spiega Lambert. Investire in una di queste start-up, prima potenzialmente di acquisirle, permetterebbe all’azienda di risparmiare tempo prezioso e di accedere a soluzioni innovative adatte alle proprie specifiche esigenze aziendali. La start up, nel frattempo, trarrebbe vantaggio da un decisivo fattore di crescita.

Mentre gli operatori dell’industria cercano fonti di innovazione, le opportunità si aprono per la tecnologia a servizio del bene comune, per poter sfruttare al meglio le nuove risorse finanziarie la cui logica si differenzia da quella degli investitori tradizionali. Anziché generare profitti, l’obiettivo è quello di investire per realizzare una visione strategica dello sviluppo acquisendo ulteriori competenze e fonti di innovazione. Il risultato finale è duplice: l’impresa ottiene un vantaggio competitivo, ma anche la società nel suo complesso ne beneficia.

Note —
1. https://www.ecowatch.com/digital-carbon-footprint-2655797250.html
2. https://www.openstreetmap.fr/
3. http://www.france-biotech.fr/wp-content/uploads/2021/02/pano-2020-final.pdf

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