Recuperare gli sprechi a tavola

Recuperare gli sprechi a tavola

Le cifre sono da capogiro. Ogni anno nel mondo vengono buttate via o perse 1,3 miliardi di tonnellate di cibo. Complessivamente, un terzo degli alimenti prodotti non viene consumato. Al contempo, circa un miliardo di persone soffre la fame o è malnutrito. E a ogni chilogrammo di cibo prodotto, vengono emessi nell’atmosfera 4,5 kg di CO2. Ridurre lo spreco è un imperativo.
La buona notizia è che questo stato di cose non è irrimediabile: agire sullo spreco si può! Ci sono dei modi per evitarlo e la Francia sta facendo degli straordinari progressi in questo settore.

Che cosa intendiamo per spreco?

Per il filosofo Jean Baudrillard “è ciò che sfida la scarsità e che, contraddittoriamente, è segno di abbondanza”. Per gli autori del Patto nazionale francese contro lo spreco alimentare (“Pacte national de lutte contre le gaspillage alimentaire”, Francia, 2013) si tratta di “tutto il cibo destinato al consumo umano che, in una fase della catena alimentare, viene perso, gettato via o che deperisce.” Questo concetto deve essere quindi distinto da quello di “scarto alimentare” che comprende lo spreco – per definizione evitabile – e gli scarti ritenuti inevitabili come le ossa, i gusci d’uova e le bucce delle banane.

Chi spreca?

Lo spreco inizia ben prima che il cibo arrivi nei nostri piatti; in occasione della produzione e del processo di trasformazione, durante il trasporto a e la distribuzione nei negozi e, infine, quando lo consumiamo.

LA FRANCIA AL PRIMO POSTO – Secondo l’indice di sostenibilità alimentare (FSI), la Francia è al primo posto tra i Paesi sviluppati in termini di sostenibilità alimentare. È stata una pioniera nell’introduzione di politiche e misure miranti a ridurre le perdite alimentari. Ad esempio, lo spreco alimentare per utilizzatore finale è in Francia di 67,2 kg rispetto ai 95,1 kg degli Stati Uniti.

Come possiamo combattere lo spreco alimentare?

Le autorità pubbliche

Le autorità pubbliche in Francia sono già intervenute promulgando nel 2013 il Patto nazionale contro lo spreco (“Pacte national de lutte contre le gaspillage alimentaire”). Coordinata da numerosi partner che hanno affiancato lo Stato, questa iniziativa mira a dimezzare lo spreco alimentare entro il 2025. L’impegno si articola in 16 misure altamente operative tra cui il supporto ad azioni di sensibilizzazione del grande pubblico e lo sviluppo di sistemi per il recupero, la trasformazione e la donazione di cibo invenduto nei mercati alimentari pubblici.

La legge Garot dell’11 febbraio 2016 ha consentito di fare un ulteriore passo avanti; essa obbliga i supermercati con una superficie di oltre 400 metri quadri a donare i prodotti alimentari invenduti se viene loro richiesto dalle associazioni. I supermercati che si rifiutano di collaborare, possono essere sanzionati ogni volta con una multa di 3.750 euro.

In occasione degli Stati generali dell’Alimentazione, una conferenza nazionale sul cibo che si è tenuta nella seconda metà del 2017, questo incentivo è stato esteso all’industria e alla ristorazione collettiva.

Da allora, altri Paesi fra cui l’Italia, hanno seguito l’esempio della Francia, al punto che alcuni esponenti del Parlamento invocano addirittura una legge europea contro lo spreco alimentare. La direttiva sullo spreco, che fa parte del pacchetto sull’economia circolare pubblicato nel 2018 sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, comprende delle misure per ridurre lo spreco alimentare e facilitare le donazioni di cibo.

L’industria alimentare

L’industria alimentare sta già collaborando con le autorità pubbliche. Ma oltre a questi sforzi, limitati in diversa misura dal quadro giuridico, esistono numerose opportunità di miglioramento. Il problema nei Paesi sviluppati deriva in gran parte dalla produzione e dal trasporto delle derrate alimentari. Devono essere quindi fatti degli sforzi per migliorare la catena della fornitura, e in particolare la catena del freddo, così da evitare perdite su vasta scala. Inoltre devono essere allentati i criteri riguardo al calibro (reintroducendo frutta e verdura “brutta”), ottimizzare le donazioni attraverso la tecnologia alimentare (i negozianti possono contare a tale proposito su una rosa di start-up che si occupano della logistica e dei rapporti con le associazioni che ricevono i prodotti), commercializzare i prodotti invenduti a prezzi scontati per evitare che vengano buttati (un servizio offerto dalla start-up TooGoodToGo, già utilizzata da 500.000 francesi) e sviluppare degli imballaggi che consentano una migliore conservazione.

Cosa si può fare a livello individuale

I consumatori finali possono dare il loro contributo a questa battaglia adottando dei semplici cambiamenti nei loro comportamenti, come ad esempio riutilizzare gli avanzi nella preparazione di nuovi piatti, acquistare alimenti con maggior frequenza e in minori quantità, acquistare prodotti sfusi invece di prodotti confezionati, privilegiare i prodotti a filiera corta così da limitare le perdite relative a trasporti e magazzini e non confondere la data di scadenza con il termine minimo di conservazione.

Secondo i dati di uno studio pubblicato nel 2011 dalla Commissione europea, l’errata interpretazione delle date di scadenza è responsabile del 20% dello spreco alimentare. Le etichette “da consumare entro” o “consumare fino a” rappresentano la data di scadenza. Questa data deve essere rispettata. Oltre tale termine, il prodotto può presentare dei rischi per la salute del consumatore. L’etichetta “da consumarsi preferibilmente entro” indica invece il termine minimo di conservazione. Al di là di tale data, il prodotto alimentare può perdere parte delle sue caratteristiche gustative e/o nutritive, ma il suo consumo non comporta rischi per la salute.

 

— Pierre Suze, divisione informazione/comunicazione del Gruppo Crédit Agricole

Note —
Fonti: ADEME, Ministero francese dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, AgraAlimentation, Keller & Heckman, L’Usine Nouvelle, Les Echos, LSA, Boston Consulting Group
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